Emily Dickinson, considerata una delle più grandi poetesse statunitensi, nasce nel Massachusetts nel 1830. Il padre, Edward, è uno stimato avvocato ed eminente figura pubblica, due volte eletto al Congresso Americano.
Molto del carattere e della vita di Emily, traspare, oltre che dalle più di duemila poesie scritte, dalla enorme mole di lettere che, da un certo momento, saranno per lei l'unica forma di contatto con l'esterno.
Anche se nei primi anni della sua vita è possibile scorgere in lei un atteggiamento gioioso e pieno di incanto e di interesse per il mondo che la circonda, fu precocemente attratta dal mistero della morte, pensosa e tendente ad appartarsi.
La sua vita fu pesantemente segnata dalla morte di persone care e da amori infelici.
Fu incapace di conformarsi alle regole della società del tempo e ne soffrì, nutriva ad esempio una profonda avversione per le faccende domestiche e non riuscì ad accettare le rigide restrizioni che la religione imponeva.
Grande fu il suo interesse e l'amore per la natura: i giardini, i fiori, i piccoli animali e i fenomeni atmosferici, saranno tra gli argomenti da lei preferiti.
Nonostante considerasse le amicizie il suo "vero tesoro inestimabile", intorno ai trent'anni incomincia a vestire solo di bianco e a non uscire più da casa, vivendo in assoluto isolamento, rifiutando di presentarsi alla vista di coloro i quali la andassero a trovare. Sempre più forte nel tempo divenne l'attaccamento per la sua casa, unico posto dove si sentisse sicura. Netta è, in molte sue poesie, la sensazione di una vita vista dalla finestra. Interruppe gli studi perchè la lontananza dalla famiglia la deprimeva, e in seguito arrivò a rifiutare inviti ad andare a trovare amici o parenti, adducendo la paura che i suoi cari morissero mentre era via. Fu questo un bisogno di protezione e una difficoltà a diventare adulta, quasi un vero e proprio rifiuto; una eccessiva tensione nervosa e sensibilità. Gli estranei le incutevano paura e per gli amici provava un affetto "fatto più di apprensione che di pace". Questi squilibri emotivi, che culmineranno anche in un collasso nervoso, hanno fatto chiedere a molti come mai non sia scivolata nella pazzia.
Nonostante l'insistenza di amici e di esponenti della cultura del tempo, si oppose sempre alla pubblicazione delle sue poesie. Infatti solo pochissime lo furono mentre fu in vita.
Muore all'età di 56 anni.
O frenetiche notti!
Se fossi accanto a te,
Queste notti frenetiche sarebbero
La nostra estasi!
Futili i venti
A un cuore in porto:
Ha riposto la bussola,
Ha riposto la carta.
Vogare nell'Eden!
Ah, il mare!
Se potessi ancorarmi
Stanotte in te!
Non sapendo quando l'alba possa venire,
apro ogni porta,
che abbia piume
come un uccello,
o onde
come una spiaggia!
Oggi mi sento triste per i morti.
Hanno ore così liete
I vecchi dietro agli steccati.
E' la stagione del fieno,
Ed i grossi, abbronzati conoscenti
Si scambiano parole in mezzo alla fatica
e ridono - una razza casalinga
Che rallegra perfino gli steccati.
E sembra duro giacere lontano
Dal rumore dei campi,
Dai carri affaccendati, dai fragranti
Covoni - e il canto di chi falcia
Insinua un'ansia, quasi nostalgia,
Pei contadini con le loro spose,
Allontanati dal lavoro dei campi,
Da tutta l'esistenza dei vicini.
Mi chiedo se la tomba
Non abbia troppa solitudine
Quando uomini e ragazzi con i carri ed il giugno
Vanno nei campi a fare il fieno!
E' gioia solitaria,
Eppure eleva l'anima
Con stupendi richiami,
Remoto sopra il vento
Il canto d'un uccello,
Delizia senza causa,
Incessante e invisibile,
Un'essenza dei cieli.
Questa polvere quieta fu signori e fu dame
E giovani e fanciulle,
Fu riso, arte e sospiro
E bei vestiti e riccioli.
E questo inerte luogo fu la dimora estiva
Dove api e fiori
Il loro ciclo orientale compirono,
Poi anch'essi ebbero fine.
Quella vita che fu tenuta a freno
Troppo stretta e si libera,
Correrà poi per sempre, con un cauto
Sguardo indietro e paura delle briglie.
Il cavallo che fiuta l'erba viva
E a cui sorride il pascolo
Sarà ripreso solo a fucilate,
Se si potrà riprenderlo.
Questo nonnulla fu amato dall'ape,
Desiderato da farfalle,
Da una celeste, disperata distanza
Ebbe l'approvazione degli uccelli,
Ed abbellì di se stesso il meriggio
E fu l'estate per un gruppo d'esseri
Per cui la sua esistenza era la sola
Prova che avessero di un Universo.
Non sappiamo di andare quando andiamo.
Noi scherziamo nel chiudere la porta.
Dietro, il Destino mette il catenaccio
E non entriamo più.
Sono più miti le mattine
E più scure diventano le noci
E le bacche hanno un viso più rotondo,
La rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia,
E la campagna una gonna scarlatta.
Ed anch'io, per non essere antiquata,
Mi metterò un gioiello
Dove navi di porpora oscillan dolcemente
Su mari di giunchiglia,
Dei marinai fantastici si aggirano,
Poi sul molo è silenzio!
La bellezza non ha causa:
Esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e rimane.
Sai afferrare le crespe
Del prato, quando il vento
Vi avvolge le sue dita?
Iddio provvederà
Perchè non ti riesca.
Il presagio è quell'ombra che si allunga sul prato,
Indice di tramonti,
Ad avvertire l'erba sbigottita
Che su lei presto scenderà la notte.
Verrà infine l'estate:
Dame con l'ombrellino
E signori a passeggio col bastone,
Fanciulle con le bambole,
Coloriranno il pallido paesaggio
Come un festoso mazzolino,
Anche se sprofondato in mezzo al marmo
Appare ora il villaggio.
I lillà che s'intrecciano da anni
Si piegheranno sotto un peso viola.
Non sdegneranno le api la musica
Su cui ronzarono i loro antenati.
E le rose di macchia arrossiranno
Nella palude, l'aster sopra il colle
Riprenderà il suo stile eterno
E le genziane avranno i loro merletti,
Finchè l'estate ripieghi il miracolo
Come una donna ripiega la veste
O i sacerdoti ripongono i simboli,
Compiuto il Sacramento.
Se più non fossi viva
Quando verranno i pettirossi,
Date a quello con la cravatta rossa
Per ricordo una briciola.
Se non potessi ringraziarvi
Perchè immersa nel sonno,
Sappiate che mi sforzo
Con le mie labbra di granito!
Quanti fiori decadono nel bosco
O periscono dalla collina,
Che non ebbero in sorte di conoscere
Il loro splendore!
E quanti affidano un seme senza nome
A una brezza vicina,
Ignari del dono scarlatto
Che recherà ad altri occhi!